Ci troviamo nel Missouri (America) del XIX secolo; un giovane medico di nome Andrew Taylor Still, praticando il suo lavoro, sente di non fare abbastanza nei confronti dei suoi pazienti: egli ritiene che i protocolli convenzionali indaghino troppo poco su quelle che possono essere le condizioni che favoriscono l’insorgenza di uno stato patologico. Mosso dalla grande passione per la pratica medica e stimolato dalla percezione della complessità dell’organismo umano, Still pone le sue mani sul corpo del paziente ed è come se ci stabilisse un dialogo: il suo è soprattutto un “ascolto” dei tessuti, e ben presto in lui emerge la consapevolezza della presenza di una forza intrinseca all’essere vivente che tende all’autoregolazione e quindi alla guarigione.
È così che nasce l’osteopatia (parola composta da “osteon” – osso e “pathos” – sofferenza), insegnata nella prima università, la BaKer University.
Gli allievi di Still tramandano a loro volta il potere curativo della pratica manuale e ne vengono diffuse le tecniche anche negli altri continenti, soprattutto in Europa.
Ma che cos’è l’osteopatia?
È una medicina globale, perché considera l’organismo umano nella sua completezza e complessità, e manuale, perché si avvale esclusivamente degli stimoli terapeutici indotti dalle mani dell’operatore.
Il processo di presa in carico del paziente è preceduto da una scrupolosa e soprattutto personalizzata analisi del caso specifico e si rivolge ad uno spettro molto ampio di problematiche: posturali, viscerali, muscolo-scheletriche, fasciali, sistemiche, etc.
“Anatomia, Anatomia, ed ancora Anatomia”: il motto che Still ripeteva ai suoi allievi sottolinea l’importanza della precisione con cui vengono manipolati i tessuti corporei. È essenziale tuttavia considerare un altro aspetto collegato all’approccio manuale, il lato psico-somatico: Still infatti diceva ai suoi seguaci “quando poni le mani sul corpo di un paziente, non dimenticare che vi abita un’anima vivente”.